Nel dibattito sempre acceso sulla proprietà digitale, una voce si è sollevata più forte delle altre: quella contro una clausola contenuta nella EULA di Ubisoft. Una voce amplificata da social, youtuber e community online, che oggi costringe la società francese a difendere una regola che, a suo dire, è presente da oltre dieci anni. Ma cosa prevede realmente quella clausola? E perché, solo ora, è diventata un caso?
La clausola che chiede di “distruggere” le copie
Tutto è partito l’8 luglio 2025, quando l’utente @Pirat_Nation ha rilanciato su X un passaggio dell’End User License Agreement (EULA) di Ubisoft. Si legge testualmente:
“Alla risoluzione del presente contratto per qualsiasi motivo, l’utente è tenuto a disinstallare immediatamente il prodotto e distruggere tutte le copie del prodotto in suo possesso.”
Il riferimento è generico: include quindi sia le versioni digitali sia quelle fisiche. In altre parole, secondo la clausola, se Ubisoft o l’utente decidono di porre fine alla licenza (per qualsiasi ragione), ogni copia del gioco dovrebbe essere rimossa o fisicamente distrutta. Una previsione che, seppur inserita in un documento legale, ha sollevato preoccupazioni sul significato stesso del concetto di “proprietà”.

Ubisoft: “Non è una novità”
La reazione dell’azienda non si è fatta attendere. Il giorno stesso, tramite l’account ufficiale @UbisoftSupport, la compagnia ha spiegato:
“Questa clausola non è nuova. Fa parte del nostro EULA da oltre dieci anni. È stata concepita come una formulazione legale per chiarire che, al termine della licenza, l’utente non ha più diritto ad accedere o utilizzare il prodotto.”
Pur rivendicando la storicità della norma, Ubisoft ha anche ammesso che la formulazione “può suonare più forte del dovuto” e ha annunciato una revisione del linguaggio “per allinearsi meglio alle aspettative dei giocatori e all’evoluzione del settore”.
Una posizione che non ha convinto tutti. Anche perché il post con l’annuncio aveva i commenti disabilitati. Una mossa che ha acceso ulteriori critiche, con l’accusa implicita di voler silenziare il dibattito.
Reazioni e accuse: “Ma allora non possediamo nulla?”
La polemica ha generato reazioni da tutta la community. Tra le voci più dure, quella dello youtuber SmashJT, che ha commentato:
“Ubisoft difende questa EULA assurda dicendo che è lì da più di dieci anni? Ottimo, quindi siete stati discutibili per oltre un decennio. Grazie per averlo confermato.”
Altri utenti hanno notato come clausole simili siano presenti anche in EULA di altri publisher, da SEGA a Rockstar. Tuttavia, il fatto che ora la questione sia tornata alla ribalta ha riportato al centro un dibattito cruciale: la differenza tra licenza e proprietà.
Se l’utente è obbligato a distruggere la copia acquistata (anche fisica), non si tratta più di una “proprietà”, ma di un accesso temporaneo e revocabile.
Un’interpretazione che, per molti, svuota il significato dell’acquisto, soprattutto in relazione a giochi single player, che non dipendono da server online o da licenze condivise.
Il precedente “The Crew” e il movimento Stop Killing Games
Il tema non è nuovo per Ubisoft. Già a inizio 2024, il publisher era stato criticato per la rimozione definitiva del gioco The Crew da ogni piattaforma. Il titolo, dopo la chiusura dei server, era diventato inutilizzabile anche per chi l’aveva regolarmente acquistato.
In quel caso, le licenze vennero revocate senza alcuna forma di rimborso, spingendo molti utenti a unirsi alla campagna europea Stop Killing Games. Una petizione nata per chiedere l’introduzione di normative a tutela della conservazione dei videogiochi e del diritto all’accesso anche dopo il termine del supporto ufficiale.
Oggi Stop Killing Games ha superato 1 milione di firme in Europa, e nel Regno Unito ha raggiunto la soglia necessaria per essere discussa in Parlamento. Un movimento che chiede chiarezza, regole trasparenti e il rispetto per ciò che viene acquistato dai consumatori.

È legale chiedere la distruzione di una copia fisica?
La questione non è solo morale o culturale, ma anche legale. Nel contesto europeo, molte clausole presenti nelle EULA possono essere contestate se ritenute “abusive” o in contrasto con il diritto dei consumatori.
Ad esempio, nel caso di una copia fisica acquistata in un negozio, è difficile che un tribunale europeo possa riconoscere l’obbligo di distruzione imposto unilateralmente da una licenza d’uso. Secondo alcuni esperti, la clausola in questione potrebbe persino essere ritenuta priva di valore legale in diversi ordinamenti.
Negli Stati Uniti, invece, il concetto di licenza prevale più spesso, ma anche lì non mancano i dibattiti sull’effettiva applicabilità di questi vincoli. In particolare quando non esiste un canale di notifica formale che informi l’utente della modifica dei termini.
Il modello in discussione: dalla proprietà all’accesso
Il cuore del problema sembra essere un cambio di paradigma che sta attraversando l’intera industria. L’idea tradizionale del “comprare un gioco” si sta trasformando in “accedere a un gioco”, spesso attraverso modelli a sottoscrizione come Ubisoft+ o Xbox Game Pass.
Già nel 2024, Philippe Tremblay, director of subscriptions di Ubisoft, aveva dichiarato a GamesIndustry.biz:
“I giocatori sono abituati a possedere i giochi, come facevano con i DVD. Ma è un cambiamento che deve avvenire. Non hanno più il CD o il DVD fisico, ma non perdono i propri progressi: possono riprendere quando vogliono. È una questione di sentirsi a proprio agio con l’idea di non possedere più il gioco.”
Una dichiarazione che, letta oggi, suona come una dichiarazione d’intenti. Ma è proprio questa transizione verso un “Netflix dei videogiochi” a generare frizioni tra consumatori e publisher.

Cosa farà Ubisoft adesso?
Ubisoft ha dichiarato di voler riformulare il linguaggio della EULA. Ma non ha annunciato modifiche alla sostanza della clausola. In pratica: la regola resta, cambia solo come viene scritta.
Un’operazione che, per molti, rischia di essere solo un tentativo di disinnescare la polemica, senza rispondere alle richieste di maggiore trasparenza o di garanzie sulla preservazione dei contenuti.
Al momento, non risulta alcuna intenzione di modificare l’approccio alla gestione delle licenze o ai diritti post-acquisto.
Una questione di fiducia
In un’industria che si muove verso la digitalizzazione completa, la fiducia tra publisher e community è un asset essenziale. Ma episodi come questo la mettono a dura prova.
Il tema dell’obbligo di distruzione delle copie—soprattutto se fisiche—è solo l’ultima espressione di un nodo più ampio: chi possiede davvero un videogioco? E chi decide quando e come quel gioco può essere ancora fruito?
Finché le aziende continueranno a scrivere le regole senza coinvolgere realmente chi quei giochi li compra, la risposta rischia di essere sempre la stessa: “Tu non lo possiedi. Noi sì.”